Hub Med, arrivano i primi report che fotografano l’innovazione sociale
La cosiddetta “arretratezza” percepita come caratteristica di alcuni Paesi dell’area mediterranea, potrebbe invece generare un grande vantaggio competitivo. Ad una condizione: che si generi un dialogo aperto tra innovazione sociale e tradizione, guardando in particolare alle reali vocazioni, alle comunità locali e all’ambiente. Potrebbe essere proprio questa la risposta all’annoso interrogativo se possa esistere o meno una via mediterranea all’innovazione sociale.
Continua il lavoro degli ambassadors di Hub Med, la nuova attività di ENISIE all’interno del Programma Interreg VA Italia-Malta per la creazione di un network mediterraneo; in esso vengono integrate le esperienze già consolidate dal progetto a Malta e in Sicilia.
L’esigenza di un “barometro mediterraneo”
I primi report che fotografano l’innovazione sociale di Egitto, Marocco, Tunisia, Palestina, Libano, Giordania, Turchia, Grecia, Serbia e Kosovo hanno restituito un’interessante panoramica dell’ecosistema per l’innovazione sociale nei loro Paesi, individuando le migliori pratiche nazionali.
L’obiettivo della ricerca va oltre la necessità di un’osservazione scientifica – che eppure sino ad oggi è mancata- sull’imprenditoria sociale. Hub Med vuole infatti sviluppare un primissimo “barometro mediterraneo” affidabile al punto da consentire un concreto supporto alle pratiche di Innovazione Sociale nell’area. Il documento appena consegnato dagli ambassadors descrive una prima analisi di 24 buone pratiche.
Di queste ultime si stanno già osservando elementi comuni rilevanti e altri specifici, e sarà poi verificato se e come possono essere replicati su scala mediterranea per affrontare le questioni sociali e ambientali.
La risposta definitiva non c’è ancora ma è già possibile rilevare come nei dieci Paesi presi in esame l’innovazione sociale sia un concetto molto recente e legato alla definizione di imprenditoria sociale; pare infatti che l’approccio imprenditoriale prevalga fortemente nel contesto delle migliori pratiche, ma ciò potrebbe essere dovuto alla mancanza di una regolamentazione specifica per le imprese sociali o altre forme di attività.
In alcuni casi (es. Egitto, Libano, Palestina) la maggior parte delle esperienze innovative sembra derivare da iniziative locali gestite da fondazioni straniere; in altri, un ruolo cruciale è stato svolto dalla diaspora (vedi Egitto, Kosovo, Turchia) e da legislazioni specifiche (cioè Grecia, Kosovo, Tunisia, Turchia).
Gli elementi comuni riguardano poi la comprensione recente e, allo stesso tempo, abbastanza chiara del fenomeno dell’Innovazione sociale come ibridazione di partnership, governance e modelli di business pubblico-privato (profit e non profit), sostenendo nuove iniziative sociali con un impatto per l’intera società; il prevalere di ONG appare evidente nella maggior parte dei paesi nordafricani, probabilmente come lo status giuridico più valido per il raggiungimento di appalti pubblici e sovvenzioni internazionali.
La necessità di una legislazione solidale
Una legislazione sbagliata potrebbe anche creare ostacoli e fermare il progresso delle imprese sociali nell’area se i governi non ne comprendono le potenzialità. Potrebbe dunque rivelarsi più utile seguire gli input della Commissione UE, di certo più consapevole. Gli imprenditori sociali hanno un accesso limitato alle istituzioni e alle leggi che li supportano.
Anche la resistenza dei governi al cambiamento si rivela un problema, e lo provano i passi troppo lenti e insicuri verso l’e-governance. La mancanza di una forma legale per le SIO (Social Innovation organisations) rende difficile anche la raccolta di fondi e l’espansione. Sarebbe dunque necessaria una legislazione più solidale, in termini di apertura allo status giuridico ibrido, tra distribuzione profit e no profit. In questo modo i modelli di business sociale più efficaci e finanziariamente sostenibili sarebbero incoraggiati e si ridurrebbe la dipendenza dalle agenzie pubbliche (locali e internazionali) e dai finanziamenti dei donatori.
Ma in attesa che ciò avvenga, è necessario sbloccare risorse, finanziare, liberare la sperimentazione e promuovere il concetto di una governance innovation (nuove forme di governance partecipata, delle città, dei territori, degli assets) . Al momento questa resta l’unica strada percorribile.